domenica 17 giugno 2012

Il mulino Sapignoli


Nel video la voce dell'autore che racconta nel dialetto romagnolo di Poggio Berni.


Il mulino Sapignoli

Tra Verucchio e Torriana si incunea si stringe  si tocca quasi la Valle del  Marecchia. Da qui nasce la fossa che portava una volta vita e lavoro a tutti i mulini che correvano di fianco a lei fino al mare. Nel mese di Maggio a Poggio Berni, la campagna era vestita di grano, le schiene curve delle colline ballavano leggere con la brezza che saliva da marina e un’onda d’oro scendeva morbida quasi a toccare il blu del mare. Quando le spighe, piegate e cariche di promesse, rilucevano di oro antico, il grano era pronto per la mietitura. I covoni, caricati sul carro, erano portati sull’aia dove veniva eretta la bica. Dalla trebbiatrice uscivano paglia, pula e grano. Con la paglia facevano i pagliai, i sacchi di grano venivano trasportati al mulino. Era lì che le grandi macine di pietra, mosse dalla forza potente dell’acqua, schiacciavano lentamente i chicchi, trasformandoli in soffice e bianca farina.
Pitrìn sempre allegro, Primo sempre burbero, erano i due fratelli che mandavano avanti il mulino Sapignoli, e prima il loro babbo, dopo il fratello Michele. Io gli capitavo spesso tra i piedi “Rino spostati da quella macina che ti fai male!” brontolava Primo.
“Vai via da quel sacco che ti sporchi tutto” mi diceva ridendo Pitrìn “dopo la tua mamma ce le dà a tutti e due!”
Me li ricordo bianchi, tutti bianchi, dalle scarpe alla punta dei capelli, tra le macine che giravano, i sacchi di farina che si riempivano piano piano, il rumore dell’acqua che scendeva con violenza dalla chiusa, l’odore del grano e quella nebbiolina fina fina che copriva tutto di bianco.


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